Muoversi 4 2023
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COSA C’È DIETRO LA RAFFINAZIONE

COSA C’È DIETRO LA RAFFINAZIONE

di Roberto Ulivieri

Roberto Ulivieri

Energy Consultant

L’aumento improvviso dei prezzi dei carburanti di solito genera la ricerca di qualche colpevole. Di solito, si tratta del normale operare dei meccanismi di mercato, dunque spiegabili. L’impatto della fiscalità è noto, così come è noto che la volatilità del Brent sia alla base di tutto. È il contributo della raffinazione e della distribuzione ad essere meno chiaro all’opinione pubblica. Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza.

L’Italia continua ad avere un alto numero di punti vendita a basso erogato medio, ma in questa fase i margini di distribuzione sono più bassi della media, a vantaggio del consumatore. In generale, qualunque colpa si voglia dare al settore della distribuzione, stiamo parlando di pochi centesimi

Cominciamo scomponendo i prezzi medi 2023 nelle componenti principali. Il prezzo del Brent è l’indicatore principale del prezzo del petrolio grezzo. La differenza di prezzo tra le quotazioni Platts di diesel e benzina e il Brent contribuiscono al margine di raffinazione. La differenza tra il prezzo industriale ed il Platts è il margine lordo di distribuzione. Il prezzo industriale della benzina è normalmente più basso di qualche centesimo rispetto a quello del diesel. (fig. 1)

Percorriamo adesso la catena a ritroso. Il prezzo Platts si riferisce a prodotto comprato in navi da 30-40.000 tonnellate ed è usato dalla raffinazione quale riferimento per il valore dei prodotti petroliferi. Il distributore compra dal raffinatore ad un prezzo vicino al Platts, fa fronte ai costi di distribuzione e realizza un margine netto. I costi di distribuzione comprendono anche il costo dei biocarburanti che, essendo più costosi della componente fossile, aggiungono circa €0,025-0,030/litro al costo del prodotto finale. Questa componente è destinata ad aumentare per gli obiettivi di decarbonizzazione.

L’Italia ha avuto per un lungo periodo margini lordi di distribuzione alti, ma adesso è allineata alla media europea. Spagna e Francia, la prima con una logistica molto efficiente e la seconda con altissima partecipazione al mercato dei supermercati, hanno avuto prezzi industriali più alti dell’Italia nel 2023. La Germania, con costi di distribuzione relativamente alti e politiche di biocarburanti molto avanzate, ha avuto prezzi industriali più alti dell’Italia sia nel 2002 che nel 2023. L’Italia continua ad avere un alto numero di punti vendita a basso erogato medio, ma in questa fase i margini di distribuzione sono più bassi della media, a vantaggio del consumatore. In generale, qualunque colpa si voglia dare al settore della distribuzione, stiamo parlando di pochi centesimi.

Il distributore non contribuisce alla volatilità che deriva quasi esclusivamente dall’andamento del prezzo Platts, il quale si forma sui mercati internazionali. Il meccanismo è quello classico del libero mercato, secondo cui il prezzo sale fino a quando l’offerta è sufficiente a soddisfare la domanda. L’alta volatilità è quindi la conseguenza naturale di due fattori: uno è l’inelasticità della domanda, ovvero il fatto che la sua variazione è molto bassa al variare del prezzo; l’altro è che le raffinerie per essere efficienti normalmente operano con tassi di utilizzo intorno al 90%, per cui hanno poco margine per aumentare l’offerta. In tempi normali, una variazione dell’1-2% nel tasso di utilizzo della capacità di raffinazione globale è sufficiente per bilanciare il mercato al cambiamento della domanda, ma questo non è ciò che è successo dal 2020 ad oggi. Inizialmente la domanda è crollata per l’impatto della pandemia, causando una riduzione delle lavorazioni e molte chiusure, per poi tornare più rapidamente del previsto ai livelli del 2019.

Volumi inferiori ma crescenti venivano importati da Asia e Medio Oriente. Essendo strutturali, questi volumi diventarono fondamentali per la formazione del prezzo europeo perché, come ricordato, in un mercato libero il prezzo è determinato dal costo del prodotto marginale. Per la sua necessità di importare, l’Europa ha prezzi del gasolio normalmente più alti rispetto ai mercati da cui si rifornisce

La Figura 2 mostra il margine di raffinazione di una raffineria standard. Il margine è inferiore ai differenziali di benzina e diesel perché ci sono i costi di lavorazione, principalmente energia, e perché la raffineria produce anche olio combustibile che vale meno del Brent. Nel 2019, con un differenziale del diesel di +15 $/bbl, questa raffineria avrebbe avuto un margine di 2 $/bbl, positivo ma insufficiente a coprire i costi fissi. Quindi si tratta di una raffineria abbastanza marginale. Dal maggio 2020 al febbraio 2022, il margine sarebbe stato negativo e la raffineria sarebbe stata fermata, come del resto fece quella di Donges della Total (Francia) dal dicembre 2020 all’aprile 2022.

Nel periodo aprile 2022-agosto 2023 il differenziale del diesel è stato mediamente +33 $/bbl e il margine di raffinazione di +9,5 $/bbl, ciò nonostante gli alti costi dell’energia. Il costo della CO2 nel frattempo ha toccato gli 85 €/tonn. incidendo per circa 1,70 $/bbl sul costo di raffinazione del barile marginale. Ciò equivale a 0,022 euro su un litro di carburante prodotto. Gli alti prezzi sono dunque in parte spiegabili con gli alti costi, ma come spiegare gli alti margini?

Nel 2020 era opinione diffusa che la domanda di prodotti petroliferi non sarebbe più tornata ai livelli pre-pandemici. In Europa vennero chiuse in via definitiva sei raffinerie, con una perdita di capacità pari a 640.000 bbl/g, circa il 5% del totale. Oggi, nonostante le raffinerie vengano probabilmente utilizzate al massimo della capacità visti i buoni margini, la produzione di carburanti è inferiore di 840.000 b/g rispetto alla media 2015-2019 (Fig. 3). Senza contare le difficoltà sorte per approvvigionarsi di greggio con una guerra alle porte dell’Europa. L’Europa è un mercato in cui il consumo di benzina è molto basso e la produzione è strutturalmente in eccesso, viceversa la produzione di gasolio è strutturalmente inferiore alla domanda. Fino al 2022 il nostro fornitore principale era la Russia, che esportava circa 1.000.000 b/g di gasolio trovando nell’Europa il suo mercato naturale. Volumi inferiori ma crescenti venivano importati da Asia e Medio Oriente. Essendo strutturali, questi volumi diventarono fondamentali per la formazione del prezzo europeo perché, come ricordato, in un mercato libero il prezzo è determinato dal costo del prodotto marginale. Per la sua necessità di importare, l’Europa ha prezzi del gasolio normalmente più alti rispetto ai mercati da cui si rifornisce. La crisi Ucraina ha sottratto il gasolio russo dal mercato europeo, anche se continua a rifornire il mercato globale. Tuttavia, c’è stato un notevole cambiamento dei flussi commerciali, con il gasolio russo che viene venduto in nuovi mercati, spiazzando altro prodotto che diventa disponibile per il mercato europeo. In questo momento, una parte viene venduta in Asia e Medio Oriente che così possono esportare volumi maggiori in Europa. Il costo di questa disottimizzazione si può stimare in circa 3,5 $/bbl, osservando che il prezzo del gasolio in Mediterraneo era normalmente più alto di circa 2 $/bbl rispetto alla piazza di Singapore, mentre adesso è intorno a 5,50 $/bbl. Quindi la crisi Ucraina spiega solo in piccola parte l’aumento dei margini.

Con la perdita di grezzo russo, il raffinatore europeo ha anche perso parte della competitività che gli derivava dall’ampia disponibilità di questo tipo di grezzo. Fino al 2021, un raffinatore in Mediterraneo poteva acquistare l’Arabian Light ad un prezzo inferiore mediamente di 2,50 $/bbl rispetto a Singapore, mentre oggi lo sta pagando ad un prezzo leggermente più alto.

La fase attuale di margini alti è probabilmente temporanea. La crescita di domanda prevista per il 2024 è bassa ed il mercato troverà un nuovo equilibrio a margini sicuramente più bassi.

Allora come è stato possibile un loro aumento così repentino, visto che la crisi russo-ucraina lo spiega solo in parte?

La risposta va cercata nella riduzione di capacità di raffinazione nel periodo 2020-2021, un biennio durante il quale si sono chiuse raffinerie anche in Giappone, Oceania e Stati Uniti. Il 2021 ha visto una riduzione globale della capacità di raffinazione per la prima volta dagli anni ’80. Con la ripresa della domanda nel 2022, non certo inattesa, per rifornire il mercato è stato necessario ricorrere all’utilizzo di raffinerie ancora più marginali, al di fuori dell’Europa, le quali hanno bisogno di prezzi più alti per essere redditizie.

È inevitabile che ci saranno altre chiusure, perché è sempre stato così. È però ipotizzabile che, aspettandosi una forte riduzione dei consumi, l’entità delle chiusure potrebbe tendere ad anticipare il mercato, eccedendo il necessario

Il 2022 ha visto anche il taglio della esportazione di prodotti raffinati dalla Cina, che è un grosso esportatore di gasolio, togliendo dal mercato globale circa 500.000 b/g. Le esportazioni cinesi, i cui volumi sono soggetti a permessi governativi, sono ricominciate nel 2023 ed hanno contribuito a ribilanciare il mercato. La notizia di una improvvisa e quasi completa eliminazione del divieto alle esportazioni russe gasolio, annunciate solo poche settimane fa, mantenendolo solo per la benzina, ha per il momento allontanato ulteriori fattori di instabilità. Con la riduzione della capacità di raffinazione nelle economie più avanzate, sta aumentando la quota di mercato di raffinerie che non operano secondo logiche di mercato e questo è sicuramente un ulteriore fattore di rischio.

Nel frattempo, nonostante gli alti margini, siamo in uno scenario in cui le compagnie petrolifere sanno che i consumi diminuiranno. La programmazione strategica guarda ad orizzonti temporali lunghi. Il picco globale dei consumi petroliferi, previsto entro il 2030, e la possibile messa al bando delle auto a combustione interna dal 2035 sono percepiti come eventi vicini di cui tenere conto. È inevitabile che ci saranno altre chiusure, perché è sempre stato così. È però ipotizzabile che, aspettandosi una forte riduzione dei consumi, l’entità delle chiusure potrebbe tendere ad anticipare il mercato, eccedendo il necessario.

Una lezione da imparare dallo scenario 2023 è perciò quella di valutare bene le conseguenze nel prevedere riduzioni di una domanda che poi potrebbero non materializzarsi. Seguendo questa logica, trovo molto discutibili le prese di posizione di coloro che inquadrano il problema della decarbonizzazione come un problema di offerta di prodotti petroliferi, il che equivale a dire che le emissioni aumentano perché le compagnie petrolifere producono i carburanti che il mercato chiede. Trovo personalmente più corretto inquadrarlo come un problema di domanda, cioè emettiamo quando guidiamo o voliamo, mentre le compagnie petrolifere ci forniscono semplicemente i carburanti di cui abbiamo bisogno per la nostra mobilità. Per questo sarebbe utile lavorare anche su una progressiva decarbonizzazione dei prodotti. Continuare a vedere la decarbonizzazione come un problema di offerta è il modo migliore di assicurare al consumatore altri anni “felici” come quelli appena passati.